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09
FEB
2017

Registrazione audio/video col cellulare è prova documentale nel processo

Posted By : Avv. Giuseppe Tripodi
Comments : Off

La registrazione audio/video fatta col cellulare è prova documentale nel processo
Suprema Corte di Cassazione III Sezione Penale
Sentenza n. 5421/2017

foto cellulare separazioneCon la sentenza che di seguito si riporta, la Suprema Corte di Cassazione ha esaminato il caso di brigadiere, imputato in un processo penale perché, abusando della propria posizione, ha indotto una prostituta ad avere rapporti sessuali con lui.

Nel caso specifico, l’uomo aveva filmato gli incontri sessuali con la donna e, proprio da detti filmati sono emersi i gravi indizi di colpevolezza con riferimento ai reati del capo d’imputazione.

Gli ermellini, dunque, chiariscono il valore delle registrazioni audio/video fatte col cellulare tra i presenti sostenendo che queste costituiscono prova documentale lecita e perfettamente  utilizzabile nel processo.

I giudici del Palazzaccio hanno spiegato poi che dette conversazioni, proprio perché avvenute tra i presenti e compiute da uno degli interlocutori, non hanno bisogno di alcuna autorizzazione del giudice poiché non rientrano nella sfera delle cd. intercettazioni in senso stretto.

Secondo i giudici, le registrazioni video anche nel processo civile debbono essere considerate prove documentali ex art. 2712 c.c..

Testo della sentenza

Corte di Cassazione, sez. III Penale
Sentenza 12 maggio 2016 – 3 febbraio 2017, n. 5241
Presidente Ramacci – Relatore Socci

Ritenuto in fatto
1. Il Tribunale di Perugia, sezione per il riesame, con ordinanza del 23 febbraio 2016, confermava l’ordinanza, del Giudice per le indagini preliminari di Perugia del 4 febbraio 2016, di applicazione nei confronti di T.S. , degli arresti domiciliari, per i reati di cui agli art. 319 quater cod. pen. (capo A) e 609 bis comma 2, n. 1 e 609 septies, comma 4, n. 3 e 4 cod. pen. (capo B),per aver indotto la prostituta P.A.A. ad avere rapporti sessuali, e abusando della sua inferiorità psichica per aver indotto indebitamente M.M. ad avere con lui in due circostanze rapporti sessuali; in (omissis) ; il T. era Brigadiere dei C.C. addetto alla stazione di (omissis) .

2. Ricorre in Cassazione T.S. , tramite il suo difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p..
2.1. Violazione di legge, art. 319 quater del cod. pen.; vizio di motivazione per manifesta illogicità, mancanza e contraddittorietà. T. a dire dell’ordinanza impugnata si sarebbe adoperato in favore della P. ove ci fossero stati problemi con i clienti della prostituta (prospettazione abusiva per l’induzione indebita). L’attività di controllo e di protezione, invece, è un’attività doverosa delle forze dell’ordine e il reato di cui all’art. 319 quater cod. pen. si verifica solo nelle ipotesi di prospettazione di disattendere i propri doveri con indebito vantaggio. La mera rappresentazione da parte del ricorrente di impiegare le sue prerogative di carabiniere a salvaguardia della P. non poteva essere inserita nel paradigma punitivo dell’art. 319 quater del cod. pen.. Manca inoltre un vantaggio indebito per la P. , in vista del quale ella avrebbe concesso i suoi favori sessuali. La maggiore tranquillità e sicurezza nell’esercizio dell’attività meretricio – costituiva una legittima pretesa della P. . Nessuna risorsa appetibile avrebbe costituito la condotta del ricorrente per la P. , e la stessa quindi non sarebbe stata minimamente condizionata dalla prospettazione di generica protezione e tranquillità. Non è spiegato nell’ordinanza impugnata come la condotta del ricorrente avesse espresso efficacia condizionante della condotta della P. . Dagli atti emerge la condizione di assoluta regolarità amministrativa della P. , regolarmente soggiornante in Italia.

2.2. Violazione di legge, art. 609 bis comma 2, n. 1 del cod. pen. sulla conoscenza da parte del ricorrente delle condizioni di inferiorità psichica della parte offesa. Vizio di motivazione. La conoscenza dello stato di inferiorità è il presupposto logico giuridico della norma. Lo stesso deve essere conosciuto e utilizzato dal soggetto per la realizzazione del delitto. L’ordinanza impugnata nella motivazione ritiene la conoscenza dello stato di minorazione psichica della vittima, con un ragionamento circolare, ovvero “conosceva perché non poteva ignorare”. Gli accertamenti medici sulla M. sono successivi ai fatti dell’imputazione (disfunzionalità emotive). Da immagini estratte da Facebook la M. non
appariva affatto gravata da disturbi relazionali.

2.3. Difetto assoluto di motivazione sul concreto ed attuale pericolo di recidivanza criminosa ex art. 274, lettera C del cod. proc. pen.. T. era già sospeso dal servizio e quindi nell’impossibilità di godere della funzione per commettere reati della stessa specie. La motivazione dell’ordinanza che afferma la mancata produzione della sospensione dal servizio è errata poiché normativamente (art. 915 del d. lgs. n. 66 del 2010 – codice dell’ordinamento militare-) la sospensione precauzionale dall’impiego è sempre disposta nei confronti del militare sottoposto a misure cautelari limitative della libertà personale. Ha chiesto quindi l’annullamento del provvedimento impugnato.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è infondato e deve respingersi con condanna del ricorrente alle spese del procedimento. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di “elevata probabilità di colpevolezza”, tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiché di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi già acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995). La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la libertà personale e a sottolineare l’eccezionalità delle misure restrittive della stessa. Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela è evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare. L’art. 292 c.p.p., come modificato dalla L. n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell’accusato (comma 2, lett. c) e c bis).

3.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per sé a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilità dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511). A norma dell’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601). Si è, al riguardo, affermato che, se la qualifica di gravità che deve caratterizzare gli indizi di colpevolezza attiene al quantum di “prova” idoneo a integrare la condizione minima per l’esercizio, sulla base di un giudizio prognostico di responsabilità, del potere cautelare, e si riferisce al grado di conferma, allo stato degli atti, dell’ipotesi accusatoria, è problema diverso quello delle regole da seguire, in sede di apprezzamento della gravità indiziaria ex art. 273 c.p.p., per la valutazione dei dati conoscitivi e, in particolare, della chiamata di correo (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, dep. 31/10/2006, P.G. in proc. Spennato, Rv. 234598). Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, l’art. 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.

3.1. Si è, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per Cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019). Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685; Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015 – dep. 03/03/2016, Berlingeri, Rv. 266765).

3.2. Dall’analisi della motivazione dei due provvedimenti (quello impugnato del tribunale e quello del Giudice delle indagini preliminari) non si rinvengono carenze motivazionali e la tesi prospettata dal ricorrente (carenza di gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 del cod. proc. pen.) non trova elementi certi negli atti, e né gli stessi, del resto, sono indicati nell’atto di impugnazione, e quindi sono solo ipotesi teoriche, non valutabili in sede di legittimità. Gli elementi indicati dai due provvedimenti, sono gravi, univoci e convergenti nell’indicare il ricorrente autore dei fatti, e di altri fatti anche più gravi ancora in accertamento, descritti nell’imputazione.

4. L’ordinanza impugnata evidenzia con motivazione adeguata, non contraddittoria e senza manifeste illogicità che il ricorrente aveva anche filmato integralmente gli incontri sessuali con le donne (oltre a quelle di cui all’imputazione anche per altre donne), e dalla visione del filmato e dal contenuto del colloquio emergevano in maniera inconfutabile (documentati dallo stesso indagato con i video) i gravi indizi dei reati in contestazione. Per il capo A, art. 319 quater cod. pen. il Tribunale analizza tutto il colloquio con la prostituta e nello stesso la P. stessa usava esplicitamente il termine “abuso”, di fronte alle richieste di prestazioni sessuali senza il pagamento, e senza protezione, che la P. invece pretendeva (sia il pagamento e sia la protezione). La stessa del resto non si era recata in caserma per offrire i suoi favori sessuali, ma per denunciare una vicenda di persecuzione. Il Tribunale poi correttamente qualifica la condotta come induzione indebita, art. 319 quater cod. pen., come chiarito da questa Corte di Cassazione: “Il delitto di concussione, di cui all’art. 317 cod. pen. nel testo modificato dalla l. n. 190 del 2012, è caratterizzato, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita e si distingue dal delitto di induzione indebita, previsto dall’art. 319 quater cod. pen. introdotto dalla medesima l. n. 190, la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno (sempre che quest’ultimo non si risolva in un’induzione in errore), di pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivata dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico. (In motivazione, la Corte ha precisato che, nei casi ambigui, l’indicato criterio distintivo del danno antigiuridico e del vantaggio indebito va utilizzato, all’esito di un’approfondita ed equilibrata valutazione del fatto, cogliendo di quest’ultimo i dati più qualificanti idonei a contraddistinguere la vicenda concreta)”. (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013 – dep. 14/03/2014, Maldera e altri, Rv. 258470). I vantaggi della prostituta sono correttamente individuati dal Tribunale “…sia in relazione ai controlli che ella avrebbe potuto subire ad opera dei militari dell’Arma, sia in relazione ai pericoli che sarebbero potuti provenire da clienti molesti e pericolosi”. Inoltre in altro video il ricorrente ottiene prestazioni sessuali da una sudamericana che doveva eleggere domicilio per un procedimento a suo carico per furto (rapporto orale).

5. Per il capo B, art. 609 bis, comma 2, n. 1, e 609 septies, comma 4, n. 3 e 4 del cod. pen., il Tribunale con motivazione adeguata, non contraddittoria e non manifestamente illogica, anche qui con la visione del filmato realizzato dallo stesso indagato, ritiene che “… era impossibile per un uomo adulto non comprendere che la M. era una donna estremamente debole e suggestionabile”; inoltre la M. e l’indagato si conoscevano da molto perché collaboravano ad una manifestazione, “festa dei giochi delle porte”. La stessa poi sentita riferiva di essere stata “esplicitamente minacciata dal Brigadiere che le ricordava che lui era il Maresciallo capo e che avrebbe potuto farle avere dei problemi con la legge ed anche con i suoi genitori”. Il collegio infatti ritiene configurabile il delitto di cui all’art. 609 bis, comma 1, cod. pen. ma si rimette al P.M. per le sue determinazioni nell’esercizio dell’azione penale.

6. Alcune considerazioni devono necessariamente svolgersi sull’uso delle registrazioni video e sonore nei casi di violenza sessuale. Nel nostro caso le stesse sono state effettuate dall’indagato, ma possono ben essere realizzate dalla stessa vittima di violenze. Le registrazioni, video e/o sonore, tra presenti, o anche di una conversazione telefonica, effettuata da uno dei partecipi al colloquio, o da persona autorizzata ad assistervi – che non commette il reato di cui agli art. 617 e 623 cod. pen., perché autorizzato, Sez. 6, n. 15003 del 27/02/2013 – dep. 02/04/2013, P.C. in proc. B, Rv. 256235 -, costituisce prova documentale valida e particolarmente attendibile, perché cristallizza in via definitiva ed oggettiva un fatto storico – il colloquio tra presenti (e tutto l’incontro, se con video) o la telefonata -; la persona che registra (o, come nel nostro caso, che viene filmata dallo stesso autore del fatto) infatti è pienamente legittimata a rendere testimonianza, e quindi la documentazione del colloquio esclude qualsiasi contestazione sul contenuto dello stesso, anche se la registrazione fosse avvenuta su consiglio o su incarico della Polizia Giudiziaria (Sez. U, n. 36747 del 28/05/2003 – dep. 24/09/2003, Torcasio e altro, Rv. 225466; Sez. 6, n. 12189 del 09/02/2005 – dep. 29/03/2005, Rosi, Rv. 231049; Sez. 5, n. 4287 del 29/09/2015 – dep. 02/02/2016, Pepi, Rv. 265624; Sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009 – dep. 22/04/2009, Abis, Rv. 243256; Sez. 2, n. 24288 del 10 giugno 2016). Nel caso di specie non solo la vittima – La M. , sentita – è attendibile quando riferisce delle minacce, ma esiste la registrazione video del rapporto, con la M. , e anche con l’altra vittima, provvidamente effettuati dallo stesso indagato. Nel particolare caso di violenza sessuale in giudizio, le video registrazioni risultano particolarmente valide, per la ricostruzione oggettiva delle violenze. Le moderne tecniche di registrazione, alla portata di tutti, per l’uso massiccio dei telefonini smart, che hanno sempre incorporati registratori vocali e video, e l’uso di app dedicate per la registrazione di chiamate e di suoni, consentono una documentazione inconfutabile ed oggettiva del contenuto di colloqui e/o di telefonate, tra il violentatore e la vittima. La ripresa video copre a 360 gradi tutto il fatto. Nel nostro caso, come sopra visto, la registrazione è stata effettuata dallo stesso ricorrente, ma la stessa potrebbe avvenire legittimamente anche da parte della vittima. Infatti le registrazioni di conversazioni – e di video – tra presenti, compiute di propria iniziativa da uno degli interlocutori, non necessitano dell’autorizzazione del giudice per le indagini preliminari, ai sensi dell’art. 267 del cod. proc. pen. in quanto non rientrano nel concetto di intercettazione in senso tecnico, ma si risolvono, come sopra visto, in una particolare forma di documentazione, non sottoposta ai limiti ed alle formalità delle intercettazioni. Infine va ricordata l’interpretazione della Suprema Corte di Cassazione, consolidata in materia, diritto vivente. Cassazione, Sez. 6, n. 49511 del 01/12/2009 – dep. 23/12/2009, Ticchiati, Rv. 245774, che ha ritenuto: “infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 266, comma secondo, 268, comma terzo e 271, comma primo, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 2, 13, 15, comma secondo, 13 e 24, Cost., nella parte in cui non prevedono l’estensione dei limiti di applicabilità della normativa codicistica in materia di intercettazioni telefoniche e ambientali anche alle intercettazioni di conversazioni tra presenti o al telefono svolte non solo da un estraneo, ma anche da uno degli interlocutori della conversazione medesima, trattandosi di situazioni del tutto diverse fra loro e non potendosi in alcun modo equiparare la registrazione effettuata, sia pure occultamente, da uno dei protagonisti della conversazione, all’ingerenza esterna sulla vita privata costituita dall’intercettazione svolta per opera di un terzo”).

7. Relativamente al pericolo di recidivanza criminosa, terzo motivo del ricorso, si deve osservare che il provvedimento impugnato contiene adeguata e non contraddittoria motivazione, senza vizi di manifesta illogicità, e individua il pericolo di reiterazione dei gravi reati non solo quale appartenente ai carabinieri, ma anche “allorché agisce al di fuori di tale contesto, come nella vicenda della M. e della minore Ma. … anche se non rivestisse più la formale qualifica di Brigadiere dei Carabinieri”. Pertanto ininfluente è la sospensione dal servizio del ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati significativi, a norma dell’art. 52 del d. lgs 196/03 in quanto imposto dalla legge. 
  
 
 

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